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Vagavo per le lande perdute della mia Firenze
in attesa di quel non so che
forse come
anzi giammai
riflettendo in modo passivo sulla straripante saggezza che il mondo offre alle persone suscettibili
quando
la mia pupilla destra
femminile
in quanto ancora donna
notò
un portone di fatture antiche
quasi quanto l’età arcaica e misogina del dopo guerra Unno
un portone con allegata targhetta
luccicante di lingotto tagliato a mano fine fine
con su scritta
psicologo
al che
pensando di deridere inizialmente la categoria
in quanto io mica so scema
come donna
e scemo
come uomo
lessi quel nome
come colpita dalla curiosità della dilettante
dopo i postumi di una vittoria
definita per q
Qui professa l’esimio dottor Bianchi Aurelio
stimato ed ammirato psicologo
la targa diceva questo
ed mi fu insolito intuire
appena abbassai anche l’altra pupilla di cui al terreno adiacente al marciapiede fratto lo spazio della strada
cento ventiquattro euro
distesi soavi
dentro un pezzo di carta
reticente da tale invito
io
sia come donna
sia come uomo
raramente
e poco professa ad instaurare dialoghi con esimi specializzati
in menti altrui
a parte i suggeritori delle cose da fare ogni mattina al bar
dopo il cappuccino
raccolsi i soldi
ed entrai
dopo quattro rampe di scale
passando per i quattro pianerottoli che delimitavano
l’andare e venire da un piano supponente l’altro
scorsi e stavolta con ambo le pupille
che ad ogni portone che superavo
un cartello affisso diceva
ci siamo trasferiti all’ultimo piano
quattro portoni con quattro cartelli affissi
così
tutti uguali
come quel cardellino che
all’ora di punta
ruba al cuculo
lo spazio
intersettoriale
riservato di cui al pennuto del primo capoverso
giunta
in quanto donna
all’ultimo portone
non scorsi nessun avviso
biglietto
pio stick
o altro
perciò suonai
dopo settanta due secondi
e due millesimi di infinito
una gracile voce mi chiese di entrare
al che
già conscia
del insano gesto
di cui all’azione primordiale compiuta
mi accomodai in un divanetto stile rock coco’
ed attesi
dopo settantacinque secondi e due attimi fratto l’infinito
un giovane di brutte speranze mi sorrise
invitandomi ad entrare nello studio
di cui
unico partecipe
risiedeva beato
mi presentai a lui
in detti termini
un inchino
due gesti come ad indicare
che la vita è una unica parallela
in uno stato depressivo concavo
ed un bieco sorriso
che mi preposi pure io
regalare
alla sua millantata
ed acuta
ilarità
la prima ignobile domanda
fu la classica delle domande
la cosiddetta
come ti chiami
ed io
che
sinceramente
sapevo di me
il minimo indispensabile per un servizio segreto thailandese
dentro un confessionale di parte hawaiana
dissi
V
lui
l’uomo
il signore
quello li
insomma
chiese se oltre a quella V
c’era altro
perché secondo il suo punto di vista
ognuno deve essere più facilmente identificato
Spiegai lui che
il mio nome di battesimo nessuno
me l’ha mai forgiato
che mi chiamavo V
ma che a sua discrezione
poteva chiamarmi anche V
L’uomo
il signore
il cattedratico
insomma lui
non comprese
l’affinità elettiva di quella sistematica frase
forse atta a sdrammatizzare una situazione
penosa
che si era interposta tra le parti
sbloccai un senso inibitorio che ho per gli uomini
quando sono donna
e gli dissi
mi chiamo V
ma se vuole
può chiamarmi Valentina
sia chiaro
non è il mio nome di cui
all’anagrafe tributaria fanno un fascio
è
un nome fittizio
accademico
maccheronico
Mi sorrise
e ci mancava poco lo mandassi a fare nel q
mi chiese
imbracciando la tesi ecumenica del dopo risorgimento
quale motivazione mi aveva indotta
ai suoi stipiti
al che
scuotendo la testa come una verginella incartapecorita dopo il primo abbacchio
dissi
testuali parole
esimio
dottore
vede
io sono una donna
bensì
capita
e mi creda potrebbe capitare
anche in questo millesimo istante
capita che io muti
voce del verbo mutare
cambiare
puff
da così
a così
ma sappia ancora
esimio e poco rispettato dottore
nonché accademico
il mio mutare
non è poco suscettibile
anche se a prima vista
tale cambiamento può apparire irrisorio
a me
cresce il pene
e da donna
quale io sono
caratterialmente
divento uomo
con annessi connessi
concavi
e convessi
il dottorino
esimio
tentennò
si alzò in piedi
rimuginò qualcosa a me ormai sconosciuto
in quanto un pensiero non detto
significa
senza significato d’essere pronunciato
e disse
testuali parole
signorina Valentina
mi parli di lei
della sua infanzia
partiamo da li
disse
io
ancora donna
e me ne sorpresi
quasi gli vomitai un facocero su il divano
va bene
risposi
cosa vorrebbe sapere
onde far del mio caso
una idilliaca parvenza per il suo egocentrico stato d’ascoltatore
chiesi
rispose con franchezza
credo fosse la sua
non la mia
che a lui sarebbe piaciuto conoscere di più
una così particolare ragazza
anche perché casi simili non li aveva mai avuti
e senza ulteriore supponenza
voleva imparare il mestiere
anche su le lacune mancanti
delle quali era attivamente sottoposto
risposi che per quanto fosse facile ricordare anni addietro la mia infanzia
non mi era facile ricordare l’atto della nascita
ne chi fossero i miei genitore
casomai ne avessi avuti alcuni
annuì come un ebete
il giorno del ringraziamento ortodosso
balzato per sbaglio nella sinagoga a fianco
e mi chiese gentilmente di proseguire
dal primo ricordo utile
che io chiamerò
il ricordo primordiale
Ero una bambina di 12 tacche
allegra e gioviale
gioviale così tanto che già a quell’età
mandavo a fare nel q le persone come
il macellaio di paese manda i coinquilini
all’ora di chiusura del campo macello
un carattere
insolito
ricordo
che vivevo
non distante da qua
o almeno
se la condizione equatore polo sud fratto polo nord
fosse
una retta vita
io disterei
quanto un parentesi graffa
un paese
ma non come quello di cappuccetto zozzo
ed il lupo delle lande oscure
un paese con uomini
donne
bambini
capre
ovini
suini
bancarelle del mercato
una chiesa
credo pastorale
ma non so
pure un cinema
sapete quello dove i film vengono proiettati
in più
molti
molti amici
di cui ora
ne arguisco
non ho più traccia
il saccarosio sta alla sua solubilità
come le speranze infantili stanno alla loro crudele crescita
pensai
mi venne in mente
una delle prime scene ricordabili
un certo bambino
età adiacente alla mia
il cui nome
farlocco
era Biridondo
mi osservava bambina
come uno strano roteare di pupille
come se io fossi l’unica al mondo
in quella giacenza di spazio
ultra terreno
mi osservava
ed io osservavo lui
roteava due camiciottoli
tra le mani
come fosse pasta per le acciughe
e sorrideva
quasi vergognandosi
di tale gesto
di fronte ad una bella
ragazzetta come me
gli dissi
con sincronismo quasi anglosassone
di posare i camiciottoli
che non si adducevano a meccanismi cautelari per la nostra età
proponendo per le vie di fatto una corsa
tra gli sterpi
onde poterci cospargere
di irroganti fluttui rossi
all’adiacer la pelle
ti vuoi fare male V
mi chiese
il dolore
è la capacità d’attrito che l’anima ha con l’immenso indefinito
risposi
ma scosse la testa e si aggregò alla bieca combriccola
di ragazzetti che il paese offriva
di cui
adesso
parlandone apertamente
i loro nomi
già più chiari
appaiono
oltre a Biridondo
che poi era il mio massimo confidente
il cui abbigliamento
già distoglieva
la voglia di compagnia o presenza
due pantaloni cachi
l’uno sopra l’altro
otto calzini sul piede destro
e uno sul sinistro
come a compensare
uno strano paio di scarpe
il cui lato destro era smisuratamente fine ed usurato
ed il cui sinistro pareva
la succursale dei bonzi di Riace
Biridondo aveva pressoché tredici tacche
ma io gliene avrei date anche meno
per il suo dialogare compassato ed anacronistico
C’era poi
Lucienne
quattordici tacche ed una mezza luna
figlia di due imprenditori agricoli del basso tormento
vestiva con gonnellino sgargiante mussa e salsedine avariata
il suo tono di voce
echeggiava
il ritorno dei morti dementi
era antipatica a molti
me inclusa
ma non lo davo a vedere
anche se
tutti mi dicevano
che
nonostante tentassi di nascondere le cose
come uno scendiletto fa con la base di cui al capoverso in alto
ero limpida
come la rugiada
sorta sopra una vacca
ed estremamente pericolosa
Accanto a Lucienne
Morigodo
vestiva in modo anomalo
Lui era il fratello
della signorina di cui al precedente capoverso
Silenzioso
ed appartato
giocava spesso
con un Misincridone
e quando era nell’atto di farlo
non desiderava che alcuno
prendesse parte a quel gioco
solo il Misincridone
gli altri esclusi
Chi mi dava angoscia
tormento
trambusto
ed acidità di stomaco
quanto un verme poco solitario in compagnia di una lattuga piena di feci
era
Diasporo
Il bello del gruppo
due occhi color lampone
carnagione color guarnigione del impero ottomano vestiario estivo lato b
Diasporo aveva 16 tacche
possedeva un fascino che al nostro cospetto emanava coriandoli
dalle viscere di una terra mai riarsa
al cielo candido in una sera senza stelle
Mi avvicinai a lui e gli sorrisi
poi mi voltai
quasi vergognata da tale gesto
presi il Camiciottolo e ci giocherellai
fine della seconda parte
V.
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